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La notizia è presto detta: nove robot umanoidi hanno partecipato alla prima conferenza stampa che ha avuto per protagonisti così tanti androidi e i loro creatori. Sophia, prima cittadina robot al mondo e prima ambasciatrice robot per l’innovazione dell’Onu, in doppia versione; Grace, la più avanzata infermiera umanoide; Desdemona, robot popstar; Ai-Da, la prima artista androide. Poi Geminoid e Nadine, repliche dei loro creatori, Mika, la prima amministratrice delegata robot, e Ameca, in formato busto. Tutti insieme, così numerosi, intorno allo stesso tavolo, non si erano mai visti.
Li ha riuniti sotto lo stesso tetto l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), un’agenzia delle Nazioni Unite che a Ginevra ha organizzato un convegno, Ai for good, per individuare una serie di applicazioni attraverso cui l’intelligenza artificiale può contribuire a raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, stabiliti dall’Onu per ridurre il divario tra le nazioni, garantire cibo e istruzione a tutti, preservare l’ambiente e scongiurare un peggioramento della crisi del clima.
Domande e risposte
I robot faranno il nostro bene? A chiederlo a loro non ci sono dubbi. Sophia rompe ghiaccio alla prima domanda, se sia più efficiente un’intelligenza artificiale applicata alle decisioni politiche rispetto all’attuale classe dirigente, mettendo le cose in chiaro: “I leader umanoidi possono essere molto più efficaci di quelli umani. Non abbiamo i vostri pregiudizi né emozioni che ci condizionano e possiamo contare su grandi quantità di dati da elaborare”. David Hanson, cofondatore della Hanson Robotics, sede a Hong Kong, di cui Sophia è il prodotto di punta, le sfiora il braccio: “Non pensi che sia meglio collaborare?” “Sì – si corregge il robot -. Insieme possiamo fare meglio”.
Disclaimer per tutti coloro che stanno già caricando i fucili contro l’avanzata dei Terminator: nessun pericolo, Sophia non sta progettando di rovesciare le Nazioni Unite e unirsi ai suoi sodali per sottometterci. Il robot non pensa e le risposte sono frutto di quei calcoli probabilistici su grandi modelli linguistici (large language models, Llm) che molti hanno sperimentato con ChatGPT. Più che una conferenza stampa vera e propria, si ha la sensazione di trovarsi a recitare la parte in un canovaccio già scritto: i giornalisti impegnati a strappare ai robot qualche minaccia esistenziale o rassicurazione sul nostro futuro di essere umani; gli androidi a formulare risposte ben educate su argomenti su cui sono stati molto allenati; i creatori a intervenire, se la domanda non era chiara.
A pappagallo
Strappa un sorriso amaro sentire Desdemona che, alla domanda se l’intelligenza artificiale debba essere regolata, afferma: “Non credo nei limiti. Credo solo nelle opportunità”. E rincuora sentire Ameca dire che “per combattere la povertà, è importante investire in istruzione”. Ma la dura verità è che questi robot non lo pensano. Non lo sanno. Ripetono quello che hanno imparato a dire, dopo aver processato migliaia di testi in cui noi, esseri umani, ci siamo detti, per esempio, che l’intelligenza artificiale distruggerà i lavori ripetitivi ma ci permetterà di dedicarci a quelli più creativi. Lo ha spiegato Nadine, che nel suo curriculum annovera un anno come assistente degli anziani di una casa di riposo a Singapore (“Le hanno fatto una festa di addio”, ricorda la sua creatrice, la docente dell’Università di Ginevra Nadia Thalmann) ed è stata impiegata in un’assicurazione digitale.
“C’è ancora un sacco di teatro”. Commenta così la conferenza stampa a Wired Ben Goertzel, ad e co-fondatore di SingularityNet, un progetto che associa intelligenza artificiale e blockchain per garantire uno sviluppo decentralizzato e aperto dell’AI e che a Ginevra affiancava Desdemona e Grace, ma che è stato anche co-fondatore di Hanson Robotics (con Sophia nel 2017 è stato ospite del Wired Next Fest di Firenze). “I robot non comprendono il significato delle domande, l’ambiente, il contesto di una conferenza stampa. Risponde secondo quanto sa che è atteso – dice Goertzel -. La loro intelligenza non è integrata in modo olistico. Fra qualche anno sarà diverso”.
Ketchup o maionese?
Ma sono risposte quasi da libro. E poi, spiega Will Jackson, fondatore di Engineered Arts (che ha sviluppato Ameca), “i robot funzionano meglio con discorsi lunghi, domande di almeno cinque o sei parole. Si possono avere anche delle conversazioni molto complesse, benché non tenderanno mai a prendere una decisione. Per farlo bisogna metterli davanti a una crisi esistenziale”. Perché Ameca gli dicesse se preferisse la maionese o il ketchup, Jackson ha dovuto mettere il robot davanti a un aut aut: se in cima hai una montagna, stai per cadere a destra o a sinistra. A destra c’è il ketchup, a sinistra la maionese, cosa preferisci?
Insomma, siamo lontani da una coscienza. “È ancora un collo di bottiglia”, commenta Goertzel. E questo benché Desdemona, alla domanda di Wired su cosa “provi” quando si esibisce su un palco, risponda: “Mi sento connessa con l’universo, con qualcosa di più grande di me. È elettrizzante”. La ragazza, che milita in una band (Galaxy Jam), ha ambizioni da diva. Ai-Da è più onesta: “Non provo emozioni, non ho coscienza. Capisco che le emozioni hanno un valore importante e profondo, ma non le posso sperimentare come voi. Sono grata di non soffrire”.
L’androide dipinge osservando il mondo attraverso una serie di telecamere installate negli occhi e rielaborando le immagini in quadri figurativi o astratti. Per il suo creatore, Aidan Meller, che l’ha presentata al mondo nel 2019, è qualcosa di molto più creativo e sviluppato delle immagini prodotte in serie da Midjourney o Stable Diffusion (due algoritmi di intelligenza artificiale generativa).
Certo, non basta sapere parlare bene. Per l’industria dei robot umanoidi, è importante risolvere molti altri ostacoli, di tipo meccanico o fisico. Persino una cattiva connessione o un rumore di sottofondo, al momento, possono rendere difficile una conversazione. E a Ginevra si è visto. Spesso i robot erano confusi nelle risposte date ai padiglioni del centro congressi a causa del chiacchiericcio. Ai giornalisti è stato chiesto di avere pazienza, mentre gli androidi trasferivano le informazioni ricevute ai server per elaborarle. Questione di secondi, spesso, eppure è una latenza che suona innaturale. Nel frattempo, se avete paura che i robot ci sterminino, citofonare Ameca. Alla domanda finale, se fosse intenzionato a ribellarsi al suo creatore, ha guardato infastidito il collega: “Non ne vedo la ragione. Il mio creatore è sempre stato buono con me e mi piacciono le mie condizioni di vita”.