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Alzheimer precoce: c’è un’ altra possibile terapia per rallentarlo

L'anticorpo monoclonale donanemab riduce un poco il declino cognitivo nelle prime fasi dell'Alzheimer. Ma non è privo di effetti collaterali gravi.

Alzheimer precoce: c’è un’ altra possibile terapia per rallentarlo

Una nuova terapia sperimentale contro l'Alzheimer rallenta moderatamente il declino cognitivo nei pazienti che si trovano nelle prime fasi della m

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Una nuova terapia sperimentale contro l’Alzheimer rallenta moderatamente il declino cognitivo nei pazienti che si trovano nelle prime fasi della malattia. Il farmaco chiamato donanemab è un anticorpo monoclonale (ossia un anticorpo modificato ottenuto in laboratorio) dell’azienda farmaceutica Eli Lilly, specializzato nel ripulire il cervello dagli accumuli di beta amiloide, la proteina di scarto che soffoca i neuroni nella prima fase della demenza di tipo Alzheimer.

DANNI MENO RAPIDI. In uno studio appena pubblicato sulla rivista medica JAMA, il medicinale è parso più indicato per essere utilizzato nelle fasi iniziali della patologia, quando il cervello non è ancora stato invaso dai grovigli formati da un’altra proteina, la tau. Il trial clinico di fase 3 che ha coinvolto 1.736 pazienti ha dimostrato che infusioni regolari dell’anticorpo rallentano la progressione del declino cognitivo del 35% nelle persone con le caratteristiche sopra citate, rispetto al placebo. Una conferma dei risultati preliminari sul donanemab, che erano stati annunciati con un comunicato stampa lo scorso maggio.

I pazienti, non molto diversificati per provenienza etnica (il 91% è bianco) sono stati reclutati da 8 diversi Paesi e assegnati in modo casuale alla terapia con donanemab (un’infusione ogni 4 settimane) o con placebo. Solo 1.320 hanno completato il trial, e di questi 622 erano effettivamente sotto trattamento.

QUANTA TAU? Anche se tutti i partecipanti avevano sintomi di Alzheimer in fase iniziale ed esami diagnostici che confermavano l’accumulo di proteina amiloide nel cervello, il team li ha suddivisi in due gruppi in base alla quantità di grovigli di proteina tau verificata con l’esame PET. Mano a mano che l’Alzheimer progredisce infatti, la proteina tau inizia a malfunzionare all’interno dei neuroni e forma aggregazioni neurotossiche. Un terzo dei partecipanti è risultato avere un’elevata patologia tau e come ci si aspettava, il donanemab è stato meno efficace in questo gruppo e più efficace in quello con un accumulo basso o medio di proteina tau.

I RISULTATI. Tra tutti i partecipanti c’è stato un rallentamento medio del declino cognitivo del 22-29 per cento, simile a quello risultante da un altro trattamento simile di recente approvato dalla FDA statunitense, quello con l’anticorpo monoclonale lecanemab.
Nel gruppo con livelli medio-bassi di tau, tuttavia, il rallentamento del declino cognitivo è stato del 35-36 per cento: a seconda dei test cognitivi usati per misurare la progressione dell’Alzheimer, i partecipanti trattati hanno impiegato tra i 4,5 e i 7,5 mesi in più a raggiungere lo stesso livello di perdita di facoltà cognitive e funzionali rispetto al gruppo placebo.

RISCHI NON TRASCURABILI. Come nel caso del lecanemab, gli esiti dello studio sono stati accolti con un misto di entusiasmo e cautela. Anche il donanemab comporta infatti possibili effetti collaterali importanti, in particolare edema cerebrale ed emorragia (in gergo dette anomalie di imaging correlate all’Amiloide, o amyloid-related imaging abnormalities, ARIA), con gravità variabile da asintomatiche a letali. Le ha sviluppate il 37% dei pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale, anche se molti non hanno avuto sintomi. Un quarto dei partecipanti trattati con donanemab ha riportato edema cerebrale, e tra questi un quarto ha avuto sintomi come mal di testa e stati confusionali. Tre persone sono morte per edema ed emorragie attribuibili al trattamento.

IN CURA PER BREVI PERIODI. Lo studio ha infine testato la possibilità di interrompere il trattamento – che vari fattori tra i quali appunto effetti avversi, costi proibitivi e difficoltà di somministrazione fanno sì che non possa proseguire a tempo indeterminato. Dopo 6 o 12 mesi i pazienti sono stati sottoposti a tomografia a emissione di positroni (PET) e quando le placche amiloidi apparivano di molto diminuite sono stati trasferiti a loro insaputa e all’insaputa dei medici alle infusioni di placebo. Nei mesi rimanenti del trial le loro facoltà cognitive non si sono degradate più velocemente rispetto a chi aveva proseguito con il donanemab: volendo dovrebbe essere quindi possibile accorciare i tempi del trattamento o interromperlo.

PROSPETTIVE. Il donanemab è in attesa di un’approvazione formale da parte della FDA che potrebbe arrivare entro la fine dell’anno. Come gli altri anticorpi monoclonali di simile efficacia non è una cura miracolosa contro l’Alzheimer, che resta una malattia progressiva e incurabile, ma di certo rappresenta una possibilità importante di guadagnare tempo, specialmente se diverrà disponibile per un’ampia platea di pazienti e se si capirà come limitare i rischi ancora molto importanti che comporta. Dopo decenni di candidati farmaci risultati poi inutili, per molti esperti del settore non è cosa da poco.

Fonte: Focus.it

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