Negli ultimi dieci anni il grado di finanziarizzazione delle economie mondiali si è ulteriormente accresciuto, nonostante la crisi dei subprime de
Negli ultimi dieci anni il grado di finanziarizzazione delle economie mondiali si è ulteriormente accresciuto, nonostante la crisi dei subprime del 2008 in USA.
Le transazioni giornaliere di natura finanziaria sul mercato mondiale sono stimate in circa 4 trillion $ al giorno, contro gli 80 billion $ di merci e servizi, che quindi sono solo il 2% degli scambi giornalieri.
Tutto questo ha precise ragioni alla sua nascita: la domanda di moneta nelle sue n forme e quindi la continua creazione di nuove tipologie di prodotti finanziari, rispondeva alle esigenze di crescita economica del pianeta, che ha mantenuto un tasso significativo superiore al 4% annuo. Come finanziare tutto questo e in particolare i tassi di crescita al 7% di India e Cina, ma anche il 5% per l’Africa? Occorrevano capitali in misura crescente e l’innovazione negli strumenti finanziari, fino alle monete parallele sul web, ha consentito appunto la crescita dell’economia reale. Gli scambi di beni e servizi erano dieci anni or sono forse un terzo degli attuali, che coprono il 36% del PIL mondiale, oggi aggirantesi sui 76 trillioni di $.
Dopo la bolla Internet del 2001 e la crisi finanziaria del 2008, le Banche centrali dei Paesi più sviluppati hanno accelerato le politiche accomodanti, inondando di moneta i sistemi più avanzati nel tentativo di impedire deflazione e collasso economico, mentre i debiti sovrani sono esplosi a valori mai raggiunti.
Ma le politiche monetarie possono contribuire allo sviluppo, ma non possono essere l’unica leva su cui agire. Il passaggio da un regime di cambi flessibili, sempre consigliato dai monetaristi, a regimi di cambi fissi, esempio la UE, ha largamente diffuso effetti depressivi sui salari dei Paesi a più bassa produttività e competitività e la leva monetaria non ha potuto controbilanciare disoccupazione e povertà crescenti proprio nei Paesi un tempo trainanti.
Le politiche fiscali, passate in sordina negli anni ’80 sotto la spinta del liberismo reganiano e tatcheriano, sono ora nuovamente di moda per cercare una ripresa dello sviluppo interrotto. Dopo essere passati dall’economia reale alla finanza, occorre riportare il focus strategico sulle imprese, sugli imprenditori che scarseggiano, e quindi sugli incentivi fiscali e gli stimoli sulla domanda, perché la promessa decrescita felice è diventata infelice.
L’Italia in particolare non riesce a rimettersi in moto perché l’imprenditoria italiana si è bloccata nel passaggio dai prodotti visibili e tangibili a quelli invisibili, informatica, biotech, nanotech, non essendo imprenditoria acculturata ma artigiani manualI evoluti ma poco nel tempo, riusciti dove non si badi al costo e alla produttività, cioè nei prodotti di lusso delle corti italiane, paralizzati difronte a tecnologie che richiedono studi severi.
Le svalutazioni competitive della lira ogni cinque anni non ci sono più dal 2002 e con una produttività, che è anche infrastrutture, sanità, commercio meno della metà dei competitors, si possono solo dimezzare i salari.
Di qui la povertà triste, non la decrescita felice, che non si può sanare con volontariato e entertainment.
Perciò le politiche monetarie non sono sufficienti, e quelle fiscali possono funzionare ma solo fino a un certo punto se non si affrontano nodi ben più profondi.
Certamente il Turismo è una via possibile per il Paese, non subisce outsourcing di paesaggi e monumenti, è un settore appena agli inizi nel mondo, proprio per i Paesi più popolosi che si avvicinano ora al turismo. Ma anche qui l’artigianato, il fai da te, la piccola iniziativa familiare non basta, è l’intera filiera che fa ridisegnata dal consumatore nelle varie aree mondiali del sistema Italia, ai canali commerciali, alla logistica, all’industrializzazione e possibilmente 4.0 di un settore frammentato, poco produttivo, inefficiente, inefficace, fuori progressivamente dai primi posti delle classifiche mondiali del settore.
Dai primi posti stiamo scivolando rapidamente verso il basso sia come presenze che come ricavi, raggiunti non solo dai grandi Paesi come è logico , ma anche da piccoli e medi.
Eppure, nell’attesa di una rigenerazione italiana che ci eviti la “terra dei morti” del nostro ‘600 e ‘700, il Turismo è l’unica industria che ci può aiutare nel breve periodo e a strutture di capitale effettivamente disponibili. E’ l’unica possibile transizione ad una prospettiva di crescita che possa impegnare le giovani generazioni, a parte il ritorno all’agricoltura di ripiego. Le vie tecnologiche battute dai Paesi leader ci sono precluse fino a un ridisegno dalle fondamenta della scuola e a una nuova generazione non già di discenti , ma di docenti.
di Prof. Massimo Merlino