Eccellenza della ricerca e capacità di trasformare le idee in prodotti ad alto valore aggiunto. Sono queste le chiavi del successo delle 500 imprese i
Eccellenza della ricerca e capacità di trasformare le idee in prodotti ad alto valore aggiunto. Sono queste le chiavi del successo delle 500 imprese italiane del biotech – in crescita costante dal 2000 – che nel 2015 hanno messo a segno un fatturato pari a oltre 9,4 miliardi di euro, con investimenti in R&S pari a 1,8 miliardi e un numero di addetti pari 9.200 unità, il 73% dei quali laureati. E le previsioni a breve termine sono ancora in salita sia per il 2017 che vede una crescita stimata del 12,8%, sia per il 2019 con un aumento del giro d’affari complessivo del 18,1 per cento. Si tratta per la maggior parte di piccole e medie eccellenze, oltre la metà (256) focalizzate sulle attività di ricerca. Un orientamento all’innovazione che caratterizza più in generale tutto il settore, dal momento che l’incidenza degli investimenti in R&S sul fatturato delle imprese a capitale italiano è del 25%, con punte fino al 40 per cento. Svetta la Lombardia con 141 realtà, seguono Piemonte (57), Lazio (45), Emilia Romagna (44), Toscana (39) , Veneto (38) e Friuli Venezia Giulia (25). È questo il quadro che emerge dal Rapporto 2016 «Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures» realizzato da Assobiotec, Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica, in collaborazione con Enea e presentato oggi a Milano, presso la sede Ice.
Eccellenti ma piccoli
«I dati del rapporto presentato oggi mostrano come l’industria biotecnologica in Italia rappresenti un comparto di indiscussa eccellenza, sia scientifica che tecnologica. Un settore caratterizzato da un forte fermento e dinamismo, testimoniato dalla presenza di quasi 500 aziende – dichiara Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec – ma gli stessi dati confermano anche i punti di debolezza del settore: infatti, quasi il 90% delle imprese dedicate alla R&S biotech sono e restano realtà piccole o micro, una caratteristica che ostacola lo sviluppo delle grandi potenzialità della biotecnologia in Italia».
Il 75% del totale delle imprese biotech italiane sono micro (meno di 10 addetti) o piccole imprese (meno di 50). Una percentuale ancora più elevata nel settore Gpta. Metà delle micro imprese sono spin off, prevalentemente generati da università. Unica eccezione è il comparto Red, nel quale il 17% delle imprese dedicate alla R&S biotech sono di media o grande dimensione.
Sebbene le imprese a capitale estero rappresentino solo il 14% del campione, pesano però per il 78% sul fatturato totale. Tra le imprese a capitale italiano, l’80% del fatturato è generato dal comparto Red.
Per spiccare il salto: cabina di regia sulla ricerca
Ma ci sono anche altri punti deboli a frenare lo sviluppo del biotech made in Italy nel panorama internazionale: «burocrazia, frammentazione – elenca Assobiotec – poco trasferimento tecnologico, misure di supporto strutturale ancora poco competitive».
«Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti interventi concreti, – continua Palmisano – che rappresentano indubbi passi avanti, restano diversi punti critici, che a nostro avviso vanno affrontati rapidamente per non rischiare di perdere il momentum che il biotech sta offrendo anche al nostro Paese. Primo fra tutti, l’istituzione di una cabina di regia centrale e comune dell’intero sistema che, sull’esempio di quanto già avviene nel Regno Unito, possa coordinare e armonizzare gli interventi su ricerca e innovazione, individuando le priorità, ma anche indirizzando le risorse disponibili. Altro tema chiave è il necessario rafforzamento delle competenze di trasferimento tecnologico, attraverso, ad esempio, la costituzione di un centro nazionale di Technology Transfer per le scienze della vita. Terzo punto quello legato al miglioramento delle agevolazioni fiscali ad oggi presenti. Senza dimenticare la necessità di far nascere un venture capital pubblico-privato, in cui siano coinvolte le istituzioni, capace di supportare la creazione e lo sviluppo di imprese biotecnologiche innovative e costituire un punto di riferimento per operatori finanziari esteri interessati a co-investire nel nostro Paese».
Biotecnologie della salute: malattie rare e terapie avanzate punte di diamante
Le Red biotech sono la locomotiva del comparto, con 261 imprese (53% del totale) impegnate nella ricerca di nuovi strumenti terapeutici e diagnostici, ricavi per 7,1 miliardi di euro e investimenti in R&S per 1,4 miliardi di euro. Le biotecnologie della salute generano più del 75% del fatturato biotech totale.
Portafoglio tricolore per ben 77 aziende, che vantano una pipeline terapeutica di 249 progetti, 190 dei quali già in fase di sviluppo preclinico (53%) o clinico (33%). Linee di ricerca che per oltre il 40% riguardano farmaci biologici come anticorpi monoclonali, proteine ricombinanti, vaccini, prodotti per terapie avanzate, destinati alla cura di malattie che non hanno ancora risposte terapeutiche adeguate o a patologie di crescente rilievo clinico ed epidemiologico, anche in relazione al generale invecchiamento della popolazione.
Ma anche metodiche di diagnostica molecolare, attività di drug discovery e cosmetici. Anche se una parte non trascurabile dell’attività dei ricercatori è indirizzata all’uso di metodiche biotecnologiche per la messa a punto di nuovi principi attivi di sintesi chimica.
Settori di eccellenza del biotech made in Italy sono le malattie rare e le terapie avanzate: sono 7 le biotech italiane che hanno ottenuto una Designazione di Farmaco Orfano (Odd) e 5 di queste sono già in Fase III. E va poi ricordato che il primo prodotto di terapia avanzata approvato nel mondo occidentale è un farmaco a base di cellule staminali, sviluppato da un’impresa biotech italiana.
Il ritorno di alcune malattie infettive, come la Tubercolosi, o le epidemie come quella del virus Ebola, hanno poi accelerato gli investimenti anche verso lo sviluppo di vaccini per la profilassi dell’infezione e la prevenzione di possibili pandemie. Ma si fanno spazio anche le tecnologie bioinformatiche, i bio-chip e le produzioni biofarmaceutiche. Tra gli emergenti si affaccia infatti un nuovo settore: quello delle Gpta (Genomica, Proteomica e Tecnologie abilitanti) in cui operano 65 aziende impegnate sul fronte dei big data e che contribuiscono alla definizione di nuovi modelli di medicina personalizzata.
Le altre biotech
Anche per le Green biotech, la grande maggioranza (73%) delle 44 imprese attive in questo settore sono aziende dedicate alla ricerca con focus specifici in campo agricolo e zootecnico, per il miglioramento del valore nutrizionale delle produzioni animali e vegetali, e la sostenibilità dell’intera filiera alimentare italiana. E il campo spazia poi alle biotecnologie industriali associate all’utilizzo di enzimi, prodotti da batteri, funghi e alghe, in ambiti applicativi diversi come riqualificazione di processi industriali, produzione di energia e bioprodotti, diagnostica e bonifica ambientale, restauro e conservazione del patrimonio artistico. Circa la metà delle 119 imprese «White», sono aziende dedicate alla R&S, attive nella selezione di enzimi in grado di trasformare la biomassa vegetale in building block di origine biologica e biocarburanti. Punti di forza a livello mondiale della Green Chemistry italiana la produzione di biolubrificanti, pigmenti, solventi, detergenti, fitofarmaci, bioplastiche, fibre naturali e altri materiali innovativi. E il linguaggio delle biotecnologie si declina anche nella Bioeconomia, «intesa come modello di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, basato sull’utilizzo delle biomasse per la produzione di biomateriale ed energia, è una realtà decisamente consolidata, che già oggi vale circa 244 miliardi di euro e dà lavoro a più di 1,5 milioni di persone».
Un settore ad alta intensità di ricerca
L’innovazione è il cuore del settore. Con una quota di addetti dedicati alla ricerca molto più elevata rispetto a quella dell’industria italiana nel suo complesso. In particolare, rispetto al settore manifatturiero: la quota di addetti in R&S è 5 volte maggiore nel settore biotech, e 13 volte maggiore nelle imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano. E il made in Italy spicca: la quota della spesa in ricerca sul fatturato totale è di 2,3 volte maggiore nel settore, e di 14 volte più consistente nelle imprese biotech a capitale italiano dedicate allo sviluppo di nuovi prodotti.
Fonte : ilsole24ore.com